Legge Basaglia, 40 anni fa la chiusura dei manicomi: malati psichiatrici ancora troppo soli

Legge Basaglia, 40 anni fa la chiusura dei manicomi: malati psichiatrici ancora troppo soli

di Carla Massi
Centomila persone, quarant'anni fa, erano rinchiuse nei nostri manicomi quando una legge ne decise la chiusura. Era il 13 maggio 1978. La legge è sempre stata identificata con il suo numero, 180, o con il nome dello psichiatra che la ispirò, Franco Basaglia.

Centomila persone, da Nord a Sud, volenti o no, erano state separate dal quotidiano, dagli affetti, da tutto. Fino a quando non si aprirono quelle porte e si cominciò a pensare di curare lontano dalle sbarre, dai letti di contenzione, dalla camicia di forza.
«Il manicomio - scriveva Basaglia nel 73 mentre guidava l'ospedale psichiatrico di Trieste - è un campo di concentramento, un campo di eliminazione, un carcere in cui l'internato non conosce il perché né la durata della condanna...». Nel 78, la rivoluzione. L'Italia viene considerata all'avanguardia. Con il tempo molti Paesi hanno preso a modello la 180 per replicarla. Roma, nel 1994, è stata la prima città europea a non avere più manicomi.

LA BULIMIA
E ora, il bilancio sembra obbligatorio. Anche se non è facile districarsi tra i mille rivoli che la 180 ha generato, tra le patologie psichiatriche che allora non avevano un nome (pensiamo alla bulimia e anoressia), tra le emergenze sociali che si chiamano senzatetto, disoccupati, tossicodipendenti. Ma anche geriatria psichiatrica. Davanti ad un simile panorama è arduo tirare una linea. Abilitati a parlare e analizzare il dopo 78, oltre i pazienti, sono gli psichiatri e i familiari delle persone che soffrono di disturbi mentali. Il bilancio, comunque, deve essere fatto. E anche in fretta. Dal momento che, l'annuncio è della Società italiana di psichiatria, entro il prossimo ventennio le malattie psichiatriche saliranno al secondo posto dopo quelle cardiache. Scalzeranno l'oncologia.

Sono circa sei milioni gli italiani che soffrono di disturbi psichiatrici. La depressione maggiore è tra le patologie che stanno crescendo velocemente: il 10 per cento della popolazione ha avuto un episodio patologico di questo tipo almeno una volta nella vita. Dopo la depressione, il disturbo bipolare e le patologie come il disturbo ossessivo compulsivo, quello da stress post traumatico, il panico, l'ansi generalizzata.
Nonostante questa situazione, le premesse non sembrano essere incoraggianti. Come è stato più volte ripetuto durante il forum su Legge 180, quaranta anni dopo che si è tenuto al Messaggero con Bernardo Carpiniello, presidente della Società italiana di psichiatria, Massimo Cozza direttore del Dipartimento Salute mentale Asl Rm2, Elena Canali presidente di Volontari in onda dell'Unione nazionale associazione salute mentale (familiari di pazienti), Volfango De Biasi regista e sceneggiatore di Crazy for football(David di Donatello per il miglior documentario) sulle imprese di una squadra di calcio formata da persone con disturbi mentali, Francesco Trento scrittore e sceneggiatore della stessa opera e, come coordinatore del dibattito, il vicedirettore del Messaggero Alvaro Moretti.



«Impossibile pensare di tornare a quel tempo. Impossibile avere nostalgia per i manicomi e per come venivano gestiti. Ma oggi l'assistenza dei malati psichiatrici è a rischio - denuncia Bernardo Carpiniello alla guida della Società italiana di psichiatria - perché in molte regioni manca il personale, dai medici agli infermieri. Con situazioni di maggiore criticità al Sud». Su 21 Regioni e Province autonome in 14 si è al di sotto del numero indicato. «Eppure - aggiunge - la relazione stretta tra il medico e il paziente è parte fondamentale e integrante della cure per queste persone». Inoltre, la chiusura degli ospedali giudiziari psichiatrici nel 2015 ha creato un'interminabile lista di attesa di pazienti condannati e malati che aspettano di entrare nelle nuove residenze. Dove, generalmente, ci sono solo venti posti.

«Il dopo legge è stato sicuramente un processo molto lento soprattutto in alcune Regioni - aggiunge Massimo Cozza che dirige il Dipartimento di salute mentale della AslRm2 a Roma - ma una vera disponibilità economica permetterebbe di assistere nel modo corretto i malati anche a domicilio. La legge non va toccata. Piuttosto ci vuole una coscienza sociale e assistenziale capace di analizzare la situazione. Questo tipo di pazienti sono in continua crescita. Perché la paura di uscire allo scoperto sta lentamente scomparendo, perché ci sono tutte le armi per potersi curare. E poter vivere un quotidiano integrato nella società». I familiari dei pazienti, però, manifestano un profondo dolore. Sentono tutto il peso sulle loro spalle. Perché non riescono ad avere l'aiuto che chiedono, perché se il paziente non vuole curarsi, nella maggior parte dei casi, può rifiutarsi. «Perché siamo soli - rivela Elena Canali dell'associazione Volontari in onda - Nelle nostre case non vengono mai gli operatori, il paziente riesce ad avere un colloquio con uno psicologo due volte al mese. Una lotta infinita».

LA PARTITA
Nelle pieghe, scopriamo il successo di chi lavora per includere i malati. Per farli diventare felici protagonisti. Come abbiamo visto nel documentario Crazy for football che ha fatto conoscere al grande pubblico una squadra di cinque calciatori con problemi mentali. Sono proprio gli autori di quel film, Volfango De Biase e Francesco Trento, ad aver organizzato, dal 13 al 16 maggio a Roma la Dream World Cup: torneo tra dieci nazioni (200 pazienti)per superare le barriere. Un abbraccio, fatto di sudore, forza, tenacia e riscatto, tra Spagna, Argentina, Cile, Francia, Giappone, Perù, Senegal, Ucraina, Ungheria e Italia.

 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 10 Maggio 2018, 17:15
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